Immagini e racconti della 53a Brigata Garibaldi

LIBRO

Grazia Milesi, “Immagini e Racconti della 53a Brigata Garibaldi“, Costa Volpino (Bg), 2004

Immagini e racconti della 53a Brigata Garibaldi

SOMMARIO
– Comunicazione di CGIL e SPI Valle Camonica Sebino
– Messaggio del Sindaco di Lovere
– Introduzione di Angelo Bendotti
1. Premessa
2. L’Estate del 1944
3. L’Autunno del 1944
4. L’Inverno del 1944-45
5. La Primavera del 1945
6. La Liberazione
7. Un ricordo di Luigi Ranieri
– Elenco dei combattenti della 53a Brigata Garibaldi
– Fotografie
– Cartina della zona d’azione della 53a Brigata Garibaldi
– Bibliografia


UN LIBRO PER RACCONTARE FATTI E STORIE DELLA RESISTENZA.
(Cgil e SPl Valle Camonica Sebino)

Uno scorcio di storia raccontata attraverso la fotografia e la memoria orale e documentata dei suoi protagonisti.
Quando la CGIL ed il Sindacato dei Pensionati hanno deciso di proporre all’ANPI una pubblicazione che raccogliesse gli avvenimenti direttamente legati alla 53a Brigata Garibaldi, hanno innanzitutto pensato di dover in questo modo assolvere ad un debito di riconoscenza verso persone, più o meno conosciute, che con le loro azioni hanno segnato in modo profondo la resistenza nell’Alto Sebino e nella bassa valle Cavallina.
Un debito non solo del Sindacato ma di un’ intera Comunità.
Come tutte le storie narrate il rischio della parzialità e dell’imprecisione e sempre presente, a maggior ragione quando il tempo segna in modo inesorabile la distanza fra l’avvenimento e la sua ricostruzione.
Siamo certi che eventuali limiti perdano ogni significato considerando il valore della pubblicazione e gli intenti che vuole perseguire.
Una pubblicazione, quella che viene proposta, che si propone attraverso gli avvenimenti di sessant’anni fa di testimoniare il valore della scelta di quelle persone che decisero di stare dalla parte della resistenza per combattere il fascismo ed il nazismo.
L’attualità in questa occasione e raccontata con la storia del passato, nella consapevolezza che i principi che hanno ispirato la lotta di liberazione appartengono ad un passato senza tempo.
La lotta alla dittatura e l’affermazione della libertà e della democrazia sono infatti i tratti essenziali di ogni società e del suo grado di civiltà.
Mettere sullo stesso piano fascismo ed antifascismo e non solo una mistificazione storica, ma soprattutto il modo peggiore per rinnegare i valori universali sui quali è fondata la nostra società.
La riforma della Costituzione non già per aggiornarla , ma soltanto per cancellarne alcuni principi fondamentali, evidenzia un profondo disprezzo per l’opera dei padri fondatori della carta costituzionale, per la resistenza e la lotta per la libertà e per la democrazia che l’hanno ispirata.
Sono quei principi e quei valori che hanno permesso al Sindacato Confederate di crescere e di svilupparsi.
Le lotte sindacali, che dal dopoguerra ad oggi sono state costantemente contrassegnate dalla volontà di raggiungere un maggiore giustizia sociale ed una nuova dignità dei lavoratori, non sarebbero state possibili senza la lotta di liberazione ed i partigiani che l’hanno animata.
Senza la libertà conquistata, senza il sacrificio di chi si fece partigiano oggi non solo non ci sarebbe il Sindacato Confederate ma neppure ci sarebbe stata quella democrazia che ha permesso alle fasce sociali più deboli di lottare per migliorare la loro condizione materiale e la loro dignità di persone e di lavoratori.
Una democrazia che va rafforzata, ribadendo l’attualità della costituzione quale presupposto di libertà, di partecipazione e di tolleranza civile.
L’Alto Sebino e stato durante la resistenza un territorio di grande mobilitazione ed impegno.
La 53a Brigata Garibaldi e stata la principale protagonista di quella tragica e straordinaria pagina della nostra storia.
I tredici martiri e gli altri partigiani uccisi rappresentano la testimonianza più crudele di un sacrificio che dobbiamo preservare non solo nella nostra memoria ma in ogni tratto della nostra vita sociale e per noi nella quotidiana azione sindacale.
Un ringraziamento particolare vogliamo rivolgerlo alla famiglia del compianto Gigi Raineri che ha messo a disposizione il prezioso materiale fotografico raccolto in molli anni dal loro congiunto.
Un grazie inoltre a tutti i partigiani per le testimonianze rese e a Luigi Tarzia per la funzione di raccordo svolta.

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IL SINDACO DI LOVERE

Con emozione, consapevolezza e partecipazione scrivo alcuni miei pensieri in occasione della pubblicazione del libro “Immagini e Racconti della 53a Brigata Garibaldi 13 Martiri di Lovere, che l’ANPI ha voluto proporre, e per questa iniziativa va ringraziata, in occasione del 60° Anniversario della Liberazione.
Dopo aver assorbito, più che letto e visto, racconti ed immagini, ne ho tratto la sensazione che questo non sia semplicemente un ulteriore libro che analizza, dal punto di vista storico, il periodo drammatico della resistenza che si e combattuta sulle nostre montagne.
Questo e un grande regalo che ci fanno i protagonisti di quelle difficili e a volte tragiche vicende, raccontate ed illustrate senza retorica, che ci fanno soffrire la fatica della quotidianità, che ci fanno rivivere i rischi per la sopravvivenza, per reperire le vettovaglie, gli indumenti, i rifornimenti, che ci fanno capire l’importanza delle convinzioni, delle condivisioni e degli affetti, che ci fanno partecipi di difficoltà, timori, errori, slanci di generosità e coraggio, senza nulla inventare e senza nulla tralasciare.
Ritengo sia anche importante la percezione di come la popolazione civile abbia aiutato i partigiani protagonisti, con un miscuglio, nei loro confronti, di aiuto e protezione, avendone in cambio altrettanta protezione e sicurezza.
Ogni lettura del passato deve lasciarci qualche insegnamento.
A maggior ragione in questo caso, quando sono i protagonisti che ci parlano, e non solamente per non dimenticare, ma per rafforzare la convinzione che la nostra comunità e salda negli obiettivi di democrazia, libertà e pace.

Il Sindaco di Lovere
Vasco Vasconi
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INTRODUZIONE
Questo bel libro fotografico sugli uomini e le vicende della 53a Brigata “Garibaldi”, curato con intelligente passione da Grazia Milesi, conferma l’interesse e l’attenzione che la “storiografia” bergamasca ha riservato a questa formazione (accenni sull’attività della Brigata sono presenti anche nelle storie generali della Resistenza).
La 53a, assieme alla Brigata G.L. “Gabriele Camozzi” della Val Seriana, rispetto alla quale presenta però una storia più completa e organica anche per la continuità del comando, tenuto fino dalle origini da Giovanni Brasi “Montagna”, fu la più importante, sotto il profilo militare, della provincia.
Le vicende della formazione, a partire dalle origini, vanno collegate alle caratteristiche dell’ambiente sociale e dell’antifascismo loverese. La forte concentrazione operaia dell’Ilva ne e l’elemento centrale, come già lo era stato prima dell’avvento del fascismo, contro cui la “Lovere Proletaria” si era battuta duramente.
Nell’ambiente operaio trova terreno d’elezione l’organizzazione clandestina del Pci, soprattutto a partire dal ’43, mentre debole rilievo hanno le altre componenti dell’antifascismo. Decisivo anche il ruolo del comandante, Giovanni Brasi, comunista, che si era formato politicamente a contatto con gli esponenti socialisti fin dalle lotte del primo dopoguerra e dall’occupazione della Franchi-Gregorini. Brasi, pur avendo conosciuto a lungo la realtà dell’emigrazione in Francia, era rimasto strettamente legato all’ambiente loverese e ciò, in un certo senso, si riflette anche sull’organizzazione futura della formazione, in cui Brasi privilegia, non senza contrasti con i comandi superiori delle Garibaldi, l’elemento locale, la compattezza e la preparazione dei “suoi” uomini rispetto alle possibilità di espansione.
In secondo luogo, la scelta della lotta armata compiuta da Brasi all’8 settembre e da un piccolo gruppo di ex alpini e operai, va inquadrata nelle vivaci e abbastanza singolari vicende dell’antifascismo loverese, a partire soprattutto dai 45 giorni. Oltre al primo gruppo di partigiani combattenti (Gruppo Patrioti Lovere), si costituiscono i Gruppi Patriottici giovanili, radicati e attivi nel tessuto urbano.
Non è ovviamente questa la sede per ripercorrere le principali vicende della 53a, per altro già richiamate con notevole precisione nel saggio introduttivo dell’autrice, ma pare opportuno segnalare alcuni caratteri distintivi che finiscono per renderla tutto sommalo “diversa” da altre formazioni della Resistenza bergamasca.
La 53a si caratterizza come formazione fortemente autoctona: la gran parte dei partigiani proviene dalla ristretta zona di Lovere e paesi vicini (Lovere e il centro di un distretto a forte concentrazione industriale in una zona depressa ad economia montana e agricola). Il dato più evidente e l’altissima percentuale di operai (il 75,3 %); se ad essi si aggiungono gli artigiani (commessi, baristi, maniscalchi, imbianchini, barbieri, ecc.) si raggiunge l’82,5%.
L’alta presenza di operai inquadrati nella formazione si può far risalire come già detto alla spiccata industrializzazione della zona di provenienza. Può colpire la scarsissima consistenza dei contadini, pari al 2,6%; ma va detto però che il dato deve essere corretto soprattutto alla luce di due considerazioni: in primo luogo la grande maggioranza dei collaboratori era appunto costituita dai contadini delle terre collinari e montane di stanziamento e di operazione della formazione; inoltre l’economia della zona, dato questo rilevabile in tutta la bergamasca, è ancora caratterizzata dalla figura dell’operaio-contadino, ed è probabile che un certo numero di dichiarazioni, attestanti la professione di operaio, si riferissero più a una qualifica acquisita precedentemente che all’occupazione del momento.
Le osservazioni sulla composizione sociale della 53a non vogliono offrire un quadro statistico di riferimento, ma possono essere di qualche utilità nel decifrare i volti, le pose, gli atteggiamenti dei partigiani fotografati. La dimensione popolare della Resistenza si impone con una evidenza sbalorditiva, forse ancor più che in altre opere analoghe. Basta guardare le immagini della vita “quotidiana” della banda partigiana per entrare in un mondo antropologicamente ben definito: operai e contadini che fanno i partigiani. L’Italia migliore.

II direttore dell’Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea
Angelo Bendotti


1. PREMESSA
Le foto qui pubblicate devono la loro esistenza a tre condizioni importanti e necessarie: prima di tutto al fatto che Montagna era di professione fotografo e perciò era portato ad usare con naturalezza e competenza la macchina fotografica; poi alla cura con cui le sorelle di Brasi prima e in seguito Luigi Raineri custodirono i negativi e le stampe di quelle stesse foto che nel frattempo erano divenute dei documenti essenziali per raccontare la memoria della resistenza nel Loverese; infine alla passione e all’impegno dei partigiani e degli antifascisti di ieri e di oggi che non hanno mai smesso di riconoscere l’importanza di tutto ciò che può servire a mantenere attuale e viva l’esperienza della lotta combattuta sulle nostre montagne tra il 1943 e il 1945.
In particolare hanno ritenuto che fosse giusto condividere con un pubblico il più vasto possibile la conoscenza di quelle fotografie, ormai vecchie e spesso difficili da reperire, ma capaci di parlare ancora ai cuori appassionati di libertà, giustizia sociale, democrazia.
Le foto raccolte in questo libro, la metà circa di quelle esistenti, hanno un carattere particolare: non nascono infatti da un intento documentaristico. Pur riferendosi ad un periodo storico difficile e problematico, non testimoniano né i fatti più rilevanti di cui la 53a Brigata Garibaldi fu protagonista, né fanno conoscere come tali le persone che nella formazione ricoprirono ruoli essenziali, come, ad es. il comandante Montagna, il vicecomandante D’Artagnan, il commissario politico Renzo. Questi ultimi, se sono presenti nelle foto, non si distinguono dagli altri: stessa semplicità, stessa casualità nell’abbigliamento, stesso rancio.
Si tratta quasi sempre di foto di gruppo, realizzate in genere da Montagna, ma, a volte, anche dai ragazzi della brigata che si alternavano ben volentieri nel fare qualche scatto.
Sono ritratte la squadra comando, quella di Giorgio, la formazione nei momenti di incontro tra i vari distaccamenti (di Giulio, Andreino, D’Artagnan …).
I vari gruppi, però, non sono mai al completo: manca sempre qualcuno, impegnato altrove in qualche compito necessario.
Ci sono persone che ricorrono spesso come Brack, Andreino, Leo, Filava, Nibbio, Wolff. Ci sono quelli che non si vedono mai, come Ariel, uno dei protagonisti della battaglia di Fonteno e della Cornalunga.
Altri, che pur hanno avuto una funzione rilevante o un ascendente particolare, compaiono solo in pochissime fotografie: è il caso di Giorgio, dei fratelli Falce e Martello, di D’Artagnan.
Anche i fedelissimi del comandante (la squadra di Lovere) si vedono raramente nelle foto: sono riservati, evitano di mettersi in mostra. La loro presenza, discreta ma vigile, parla di una sobrietà sostanziale, che bada al sodo, sottraendosi alle situazioni che possono sembrare pretesti per evidenziarsi tra gli altri.
Nelle fotografie, insomma, si rispecchia un’autentica atmosfera “democratica”, priva di spirito gerarchico: non si vedono “capi” e subordinati, bensì compagni accomunati dalle stesse esperienze legate alla quotidianità e alla lotta. Sembra che vi circoli lo stesso spirito cameratesco e lo stesso egualitarismo praticati nella brigata. E’ interessante sentire, a questo proposito, il parere di Gianni (Mario Catto), raccolto dall’intervista di Antonio Censi nel 1973: “Per noi, per la nostra Brigata, c’era il comandante che aveva suddiviso la Formazione in tre, quattro o cinque squadre, secondo il numero delle persone che c’erano a disposizione. Nel periodo in cui ci sono stato io erano cinque le squadre: c’era la squadra comando, e poi la prima, la seconda, la terza e la quarta squadra. A capo di ognuna di queste c’era un partigiano scelto, non per dei meriti particolari, fra l’altro non era nemmeno che fosse scelto dal comandante, veniva proposto dal comandante e le varie squadre dovevano dare il consenso oppure no, oppure fare le obiezioni che volevano. Quindi mi pare che anche in linea democratica si fosse più che a posto… Naturalmente queste persone erano scelte in base a dei principi: per l’esperienza, per la serietà, per le doti di coraggio, perché sapessero portare gli uomini con una certa disinvoltura, insomma. E naturalmente dovevano riscuotere anche la simpatia e la fiducia degli uomini che avevano in consegna… Poi, per quanto riguarda le decisioni da prendere, c’era il Consiglio, fatto dal capo Formazione dal comandante, così lo chiamavamo noi che si consigliava con i vari capi e decidevano: è meglio fare così, è meglio fare cosa, oppure… Ognuno diceva le proprie idee e poi… comunque chi decideva era la maggioranza. Il par ere della maggioranza era quello che prevaleva… ”.
Eccezionalmente si trovano dei ritratti individuali, ma anche in questo caso è il contesto, più che la persona, ad attirare l’attenzione. Guardando Brack che tiene in mano la scodella per il rancio o Wolff che si butta quasi a terra per mandar giù la sua razione di minestra o Ivan che cerca con la massima serietà le pulci tra il pelo di Bibi, si è colpiti dal clima generale di semplicità e di ristrettezze ma nello stesso tempo di dignità. Sono prove di vita vera, vissuta senza alcuna retorica nella consapevolezza di una necessità da affrontare comunque.
Si potrebbe pensare, osservando queste foto, che la resistenza nel Loverese fu opera dei soli partigiani che vi sono ritratti: in realtà essa fu dovuta all’azione di più di cento persone, nell’agosto del 1944, e di circa duecentocinquanta nell’aprile del 1945 e fu possibile per l’ampia rete di solidarietà tessuta intorno dalla popolazione che non esitò ad offrire ai combattenti cibo, protezione, cure, informazioni. Furono anche le donne ad avere un ruolo importante come staffette o come appoggio alle azioni gappiste. Purtroppo, pero, di loro mancano le testimonianze.
Le foto, infatti, sono tutte al maschile. Sembrano voler parlare di una vita rude, fatta di pericoli e di fatiche con­ tra cui solo i maschi sanno lottare. E le armi sono esibite a volte quasi con orgoglio, impugnate con atteggiamenti esageratamente bellicosi forse per smentire il significato delle immagini.
Si potrebbe ancora essere indotti a pensare che i luoghi della resistenza della 53a siano esclusivamente quelli della Val Piana, della Malga Lunga, di Possimo.
Sono anche quelli, che sono quasi gli unici ad essere documentati, ma non sono i soli.
Le foto non coprono infatti tutto l’arco della lotta partigiana. Esse cominciano con il documentare i fatti a partire dall’estate 1944, poco prima del lancio alla cascina Facchinetti (6 agosto 1944). Sono numerose poi quelle scattate durante il novembre e il dicembre a fissare le lunghe marce di trasferimento nella neve verso la Val Piana e la Malga Lunga e, in seguito, dopo la cattura della squadra di Giorgio e di Falce e Martello, verso l’Alta Valle Seriana. Le foto raccontano poi dell’entusiasmo della primavera del 1945, quando, sull’onda dell’insurrezione generale, giovani sempre più numerosi salgono in montagna ad ingrossare la formazione, affiancata nel frattempo dagli alleati paracadutati sul Farno. Infine raccontano della gioia e dell’orgoglio di sfilare finalmente liberi per le vie di Lovere e di Castro dopo il 25 aprile. Guardando le foto, viene spontaneo chiedersi chi fossero partigiani della 53a.
Sappiamo, dagli studi compiuti dall’Istituto di Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Bergamo (cfr. A. BENDOTTI, G.BERTACCHI, C. CHIODI, Indagine sulla composizione sociale delle formazioni partigiane bergamasche: la 53a Brigata Garibaldi, in “Studi e Ricerche di Storia Contemporanea”, 10, novembre 1977, pp. 520), che erano per lo più operai (75%), solo una piccola parte era composta di impiegati (9%) e artigiani (7%), una ridottissima minoranza era formata da studenti (4%), contadini (2,6%), commercianti (2%).
Avevano nomi di battaglia che sapevano di avventura, di letteratura, di marxismo, di burla, di fatica quotidiana. A volte essi rivelavano un interesse particolare per le manifestazioni naturali più terribili oppure sottolineavano la volontà di continuare la vita dei compagni barbaramente uccisi, riprendendone l’appellativo. In queste scelte si leggono l’ingenuità, l’entusiasmo e la leggerezza proprie dell’età, insieme ad una serietà e ad una capacita di decisione rivelatrici di una maturità eccezionale, formatasi in circostanze storiche e politiche davvero particolari. Accanto ai più anziani, di età come Giulio o Barbieri, sposati con figli, c’erano i più giovani, fuggiti in montagna per evitare la leva della R.S.I., tutti uniti dalla passione anti-tedesca e anti-fascista. La vita in brigata li aveva maturati, abituandoli al libera confronto nelle discussioni, coinvolgendoli tutti nelle decisioni, su precisa volontà del comandante.
Finita la guerra, tutti lasciarono i nomi di battaglia e tornarono, spesso tra grosse difficoltà, alla vita normale. Per molti non fu facile trovare lavoro; per alcuni fu motivo di dispiacere apprendere che ai propri figli, anni dopo, era preclusa l’assunzione in fabbrica come se essi dovessero scontare il passato antifascista dei padri.
Tutti ripresero alla fine il loro nome, quello della vita normale, ritrovandosi ancora nei congressi dell’A.N.P.I. o in occasione dell’inaugurazione di un monumento o di una celebrazione particolare e alla fine, sempre più spesso, partecipando ad un funerale.
Ormai sono rimasti in pochi a testimoniare il proprio passato nella Resistenza: è perciò importante raccogliere ancora qualche loro memoria perché accompagni queste fotografie, costituendone un commento discreto ed un’integrazione indispensabile. Sono i ricordi semplici, ma autentici di coloro che hanno vissuto senza enfasi il ruolo oggettivo di “eroe”, accettandone l’eccezionalità senza montarsi la testa, riuscendo a rimanere quasi nell’ombra, essendo tuttavia vigili e critici nei confronti di quanto accadeva intorno a loro.
Ci sembra giusto pubblicare, insieme alle fotografie, l’elenco di quanti fecero parte della 53a in qualità di partigiani o semplicemente di patrioti (la diversa qualifica e determinata dalla certificazione della permanenza in montagna). Purtroppo quasi certamente non è complete, ma comunque colma, almeno in parte, una lacuna.
Un’ultima precisazione riguarda il testo: concepito come una sorta di accompagnamento delle testimonianze fotografiche, la sua organizzazione più che seguire i dettami di un’opera propriamente storica si configura come un racconto, frutto di una compilazione collettiva, in cui si è tenuto conto non solo dei testi autobiografici di Brach o di Leo e del volume dei Verdina, ma anche delle memorie dei vecchi partigiani che, vincendo le resistenze frutto di una modestia profondamente radicata, hanno accettato di dare voce ai ricordi.